Giovedì Santo

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Con il DSC01148Giovedì Santo si conclude la Quaresima, iniziata con il Mercoledì delle Ceneri, e con essa finisce anche il digiuno penitenziale. Con la messa vespertina “in Coena Domini” inizia il Triduo pasquale, ossia i tre giorni nei quali si commemora la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, che ha il suo fulcro nella solenne Veglia pasquale e si conclude con i secondi vespri della Domenica di Pasqua.

Dal punto di vista liturgico quella del Triduo è un unica celebrazione. Infatti:

-nella Messa "in Coena Domini" non c'è congedo, ma l'assemblea si scioglie in silenzio;

-il Venerdì Santo la celebrazione inizia nel silenzio, senza riti di introduzione, e termina senza benedizione e senza congedo, nel silenzio;

 -la Veglia Pasquale inizia con il lucernario, senza segno di croce e senza saluto; solo alla fine della Veglia si trova la benedizione finale e il congedo.

 

La messa mattutina del Crisma

Il giorno del Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche, al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con una solenne cerimonia consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da utilizzare per tutto l’anno successivo per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni. A tale cerimonia partecipano i sacerdoti e i diaconi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo; accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, Morte e Resurrezione.

 

La messa vespertina "in Coena Domini"

 Nel tardo pomeriggio in tutte le chiese c’è la celebrazione della Messa in “Coena Domini”, cioè la “Cena del Signore”. Si tratta dell'Ultima Cena – raffigurata da intere generazioni di artisti – che Gesù tenne insieme ai suoi apostoli prima dell'arresto e della condanna a morte.

 

DSC01144La lavanda dei piedi simbolo di ospitalità

Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 13, racconta l'episodio della lavanda dei piedi. Gesù «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine», e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il proposito di tradirlo, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.

La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.

Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.

La lavanda dei piedi è un azione di servizio per gli altri: per questo nel Giovedì Santo si ricorda anche l’istituzione del Sacerdozio. 

Gesù umilia se stesso come un servo. In realtà tutto questo è solo anticipo del futuro, tutto sarà scandalo, il tradimento (di Giuda e non solo), l’abbandono dei discepoli, la condanna, la tortura, la croce. In questo contesto le osservazioni di Pietro lasciano il tempo che trovano… Scrive Sant’Agostino: “Ma perché meravigliarsi che si sia alzato da tavola  deposto le vesti colui  che, essendo nella forma di Dio annientò se stesso? E che meraviglia se prese un panno, e se ne cinse colui, che prendendo la forma di servo è stato trovato come un uomo qualsiasi come aspetto esterno? Che meraviglia se versò acqua nel catino per lavare i discepoli colui che versò il suo sangue per lavare le sozzure dei peccati? (….) e tutta la sua passione è la nostra purificazione”.

 

 

 

L’Istituzione dell’Eucaristia

La nostra logica è sempre troppo piccola rispetto a quella di Dio. Nell prima sera del Triduo Pasquale  Dio  ci lascia l’Eucarestia nella forma del Pane e del Vino (pane di  vita e sangue di salvezza,  che ci donano e sono viatico  andare avanti nel cammino ). Gesù ci rivela l’amore di un Dio che ci ama nonostante i nostri tradimenti, i nostri abbandoni, le nostre debolezze, le nostre fragilità, il nostro “non capire niente” (come Pietro…).

Un Dio che ci sa chiamare per nome (attribuendoci vocazioni diverse ma espressioni del suo progetto per noi..) e sa chinarsi su di  noi. Un Dio che ognuno di noi ha, come un dono prezioso che Lui ci dona e che spesso non sappiamo apprezzare; la meraviglia di un Dio che si offre lasciandoci liberi di amarlo o rifiutarlo;  un Dio che ci fa la grazia della fede.

Ma sopratutto stiamo a contemplare  il Mistero di un Dio che si fa uomo, che si fa servitore e con la sua morte in croce redime ognuno di noi. E davanti a questo Mistero l’unico atteggiamento possibile, per chi è credente, è il silenzio, la contemplazione ed il rendere grazie al Signore per ciò che ha fatto per noi.

In questo triduo della “Passione … d’Amore” di Dio per l’uomo possa davvero ogni parola, ogni gesto, ogni momento riportarci all’essenziale di tutto e cioè che noi tutti siamo amati di un amore folle da Dio e che ci è chiesto non di contraccambiare a Lui questo Amore, ma di metterlo in circolo tra noi. Ecco la vera richiesta di Gesù nel gesto di questo brano: non ci chiede di restituire quell’Amore ricevuto al Padre, ma di estenderlo tra noi uomini affinché l’Amore diventi l’essenza della vita stessa e perché attraverso gesti come questi, tutti possano dire “sono suoi discepoli” è infatti l’esortazione all’amore che farà poco dopo Gesù stesso:

Vi do un comando nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io amai voi così anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. (Gv 13,34-35).

Se ci pensiamo bene è qualcosa di straordinario che ci chiede Gesù e che in nessuna religione esiste: Dio non chiede di essere venerato Lui stesso, ma chiede di esserlo nell’amore donato al prossimo!
Quale annuncio d’amore più grande!?

 

La reposizione dell'Eucaristia e l'inizio della Passione

I riti liturgici del Giovedì Santo, giorno in cui la Chiesa celebra oltre l’istituzione dell’Eucaristia, anche quella dell’Ordine Sacro, ossia del sacerdozio cristiano, si concludono dopo la messa della Cena con la reposizione dell’Eucaristia in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’istituzione del Sacramento; cappella che sarà meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo. Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.

 

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Altre indicazioni

Per tutto il giorno non è consentita la celebrazione di messe esequiali. Si può celebrare il solo rito esequiale con la Liturgia della Parola (il sacerdote indossa il piviale di colore violaceo).

«La Messa nella Cena del Signore si celebra nelle ore vespertine, nel tempo più opportuno per una piena partecipazione di tutta la comunità locale. Tutti i presbiteri possono concelebrarla, anche se hanno già concelebrato in questo giorno la Messa del crisma, oppure se sono tenuti a celebrare un’altra messa per il bene dei fedeli». (PS 46)

«Prima della celebrazione il tabernacolo deve essere vuoto. Le ostie per la comunione dei fedeli vengano consacrate nella stessa celebrazione della Messa. Si consacri in questa Messa pane in quantità sufficiente per oggi e per il giorno seguente.

Si riservi una cappella per la custodia del Santissimo Sacramento e si orni in modo conveniente, perché possa facilitare l’orazione e la meditazione: si raccomanda il rispetto di quella sobrietà che conviene alla Liturgia di questi giorni, evitando o rimuovendo ogni abuso contrario. Se il tabernacolo è collocato in una cappella separata dalla navata centrale, conviene che in essa venga allestito il luogo per la reposizione e l’adorazione». (PS 48-49)

Questa norma chiede di essere rettamente intesa e puntualmente applicata, anche rimuovendo alcune situazioni di vero e proprio abuso. Si chiede di riservare una cappella e un tabernacolo, ovvero il luogo della custodia abituale del SS. Sacramento, per quella che è una custodia con adorazione solenne protratta nella notte e finalizzata alla comunione nel giorno seguente. Non è prevista la possibilità di realizzare scenari sul modello del presepio che propongono allegorizzazioni di episodi della passione, del sacerdozio, dell’Eucaristia, della fedeltà dei discepoli o del tradimento di Giuda. Non si deve ricostruire l’ambiente del Cenacolo, né tentarne la trasposizione nell’oggi del quartiere.

Durante il canto dell’Inno “Gloria a Dio” si suonano le campane. Terminato il canto, non si suoneranno più fino alla Veglia pasquale […] Durante questo tempo l'organo e gli altri strumenti musicali possono usarsi soltanto per sostenere il canto. (PS 50)

La lavanda dei piedi è un rito facoltativo. Su richiesta di Papa Francesco, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nel gennaio 2016 ha mutato la rubrica del Messale che riservava questo gesto agli uomini. Secondo il prudente giudizio dei parroci si potranno quindi ammettere anche le donne. Si possono coinvolgere anche bambine e bambini ma non in modo esclusivo: sarebbe opportuno che il gruppo esprimesse opportunamente la variegata composizione di una comunità cristiana, che comprende anche anziani, poveri, sofferenti… Si valuti la collocazione, evitando ove possibile di utilizzare il presbiterio o di disporre panche o sedie davanti l’altare: si creerebbe un effetto palcoscenico che offusca la dignità dei luoghi liturgici e appiattisce il gesto, allontanando il gruppo dei fedeli dalla comunità di cui invece sono parte e immagine.

«Durante la processione delle offerte, mentre il popolo canta l'inno “Dov'è carità e amore”, possono essere presentati i doni per i poveri, specialmente quelli raccolti nel tempo quaresimale come frutti di penitenza» (PS 52). È l’unico caso in cui il Messale indica il canto per l’offertorio: un canto che peraltro è conosciuto da tutti i fedeli, è presente in tutti i repertori parrocchiali, in latino o in italiano, con varie melodie. Non è il caso di cercare altri canti.

Si raccomanda la processione dei doni portati dai fedeli: innanzitutto il pane e il vino per l’Eucaristia, quindi, se ci sono, doni veri per la chiesa e i poveri. I doni non destinati alla mensa eucaristica, come pure le offerte in denaro, non vanno mai deposti davanti all’altare, ma su una apposita credenza ben distinta dai luoghi liturgici. Si evitino monizioni esplicative dei doni (la processione è accompagnata dal canto) e doni simbolici o allegorici.

Si consiglia l’uso del Canone Romano, che il Messale riporta nel proprio del tempo con le varianti proprie del giorno.

Si valuti la possibilità di distribuire a tutti i fedeli la comunione sotto le due specie.

Terminata l’orazione dopo la Comunione, si forma la processione che, attraverso la Chiesa, accompagna il Santissimo Sacramento al luogo della reposizione. Apre la processione il crocifero; si portano le candele accese e l’incenso. Intanto si canta l’Inno “Pange lingua” o un altro canto eucaristico. La processione e la reposizione del Santissimo Sacramento non si possono fare in quelle chiese in cui il Venerdì santo non si celebra la Passione del Signore.

Il Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso. Non si può mai fare l’esposizione con l’ostensorio, perché questa non è una esposizione del Santissimo Sacramento. Il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di “sepolcro”: infatti la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare “la sepoltura del Signore”, ma per custodire il pane eucaristico per la Comunione, che verrà distribuita il Venerdì nella Passione del Signore.

Si invitino i fedeli a trattenersi in chiesa, dopo la Messa nella Cena del Signore, per un congruo spazio di tempo nella notte, per la dovuta adorazione al Santissimo Sacramento solennemente lì custodito in questo giorno. Durante l’adorazione eucaristica protratta può essere letta qualche parte del Vangelo secondo Giovanni (Cap. 13-17). Dopo la mezzanotte si faccia l’adorazione senza solennità dal momento che ha già avuto inizio il giorno della Passione del Signore.

Questa adorazione notturna deve essere preparata con molta cura, predisponendo anche sussidi scritti per la preghiera personale. Nel caso di una animazione con preghiere e canti si lasci sempre uno spazio cospicuo di silenzio per la preghiera di adorazione personale. Dopo la mezzanotte, alla chiusura della chiesa, si valuti la possibilità di eliminare i segni della solennità, lasciando accanto alla custodia del SS. Sacramento la lampada eucaristica e una sobria ornamentazione floreale o verde (i germi di grano tradizionali, per esempio) e alcuni ceri.

 

 

Terminata la Messa viene spogliato l’altare della celebrazione. È bene coprire le croci della chiesa con un velo di colore rosso o violaceo, a meno che non siano state già coperte il sabato prima della domenica V di Quaresima. Non possono accendersi le luci davanti alle immagini dei Santi. (PS 54-57)

 

 

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