Benedetto XVI: necessaria nuova generazione di cristiani impegnati nel sociale papabenedettocagliari

"Maria vi aiuti a portare Cristo alle famiglie, piccole chiese domestiche e cellule della società, oggi piu' che mai bisognose di fiducia e di sostegno sia sul piano spirituale che su quello sociale. Vi aiuti a trovare le opportune strategie pastorali per far si' che Cristo sia incontrato dai giovani, portatori per loro natura di nuovo slancio,

ma spesso vittime del nichilismo diffuso, assetati di verità e di ideali proprio quando sembrano negarli".
"Vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell'economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile. In tutti questi aspetti dell'impegno cristiano potete sempre contare sulla guida e sul sostegno della Vergine santa. Affidiamoci pertanto alla sua materna intercessione".

(Cagliari 7 settembre 2008)

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PaoloVIpolitica"LA POLITICA E' LA PIU' ALTA FORMA DI CARITA'"

(Paolo VI)

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«Senza mai confondersi con la realtà politica, la Chiesa e le sue comunità locali hanno il dovere primario di richiamare il compito dei cristiani di mettersi a servizio, sul modello del loro Signore, per l’edificazione di un ordine sociale e civile rispettoso e promotore dell’uomo» (CEI, La Chiesa italiana e le prospettive del paese, n. 34)

  1. Educare all’impegno socio – politico

Occorre riscoprire e vivere la dimensione sociale della fede e avviare a tutti i livelli una formazione permanente al servizio nella «città».

  1. Educare al sociale e al politico. Non basta conoscere la verità, occorre «fare la verità» (Gv. 3,21; 1 Gv. 1,6).

I cristiani – sulle orme di Cristo – debbono far propri i problemi del mondo.

La «politica» in quanto forma più alta della carità cristiana (Giorgio La Pira). Politica, infatti, significa «servizio nella polis».

  1. Educare alla legalità.

Occorre presentare e vivere i valori dell’etica (onestà, giustizia, senso del dovere, bene comune, pace, solidarietà...) come antidoti contro i malesseri della società (mentalità mafiosa, mafiosità di comportamento, clientelismo, prevaricazione delle leggi...(cfr. CEI, Educare alla legalità: per una cultura della legalità nel nostro Paese). Le piccole comunità ecclesiali sono vere “agenzie educative in seno alle basi popolari.

  1. Educare al territorio. Territorio da intendere non solo come luogo civico–amministrativo, ma anche come ambito culturale, teologico e pastorale. La parrocchia come centro catalizzatore di valori umani, cantiere di formazione civico–civile, «soggetto sociale»: «Bisogna che nasca una parrocchia comunità, che si ponga come “soggetto sociale” nel proprio territorio» (CEI, Evangelizzazione e Mezzogiorno, n. 34).

Come muoversi? Attraverso ricerche storiche, geografiche, osservatori socio–culturali, censimenti strutturali, palestre educative..., stimoli alle istituzioni pubbliche, costante inculturazione (la fede non sostituisce le culture, le suppone e le ispira di Vangelo).

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Mons. Giovanni Battista Pichierri

ALLA COMUNITÀ CRISTIANA

ORIENTAMENTI

IN VISTA DI OGNI APPUNTAMENTO ELETTORALE

La Chiesa come istituzione divina guarda le situazioni umane ed in specie la Politica con gli occhi del suo Fondatore, Gesù Cristo: «Date a Cesare quello che è di Cesare; e a Dio quello che è di Dio».

         La distinzione tra Fede e Politica si impone in forza della natura diversa delle due realtà:

  • La Fede è dono di Dio perché l’uomo entri in dialogo con Lui e formi con tutti gli altri credenti in Cristo la famiglia di Dio;
  • La Politica è affare dell’uomo che, in forza della sua esigenza sociale, si dà con gli altri cittadini un sistema di vita sociale conforme alla dignità della persona umana e alla salvaguardia del suo bene integrale: fisico, morale, sociale, religioso.

Quando si tratta di organizzare il bene comune, compito questo specifico della Politica, la Chiesa incoraggia i cristiani a non estraniarsi, ma ad entrare nell’azione politica senza perdere la coscienza dei valori umani da promuovere. Nel contempo, non fa azione di tipo partitico per sostenerli.

Prega per i politici, ma non si allea con essi, onde evitare commistioni indebite e forme di collateralismo che riducono la missionarietà della Chiesa ad azione puramente sociale.

Per cui, si richiede tener presente questi criteri in vista di ogni appuntamento elettorale:

  • Invito ai responsabili politici a favorire un clima di autentico dialogo e di sereno confronto tra le parti, per aiutare il popolo (nazionale o cittadino) a operare scelte mature e responsabili.
  • I pastori e gli organismi ecclesiali, in quanto tali, non devono lasciarsi coinvolgere negli schieramenti politici e partitici.

Ciò non significa “indifferenza o disinteresse da parte della Chiesa e dei cattolici verso la vita pubblica, nella quale vanno riproposti quei contenuti  irrinunciabili che sono fondati sul primato e la centralità della persona umana e sul perseguimento del bene comune” (Cons. Episc. Perm., Comunicato del 23-26/I/2006,2).

  • In ambito sociale e politico, i cittadini operano secondo la propria responsabilità e competenza. A loro è chiesto di essere coerenti con la visione cristiana dell’uomo e con la dottrina sociale della Chiesa anche perché, come ha recentemente ricordato Benedetto XVI, i contenuti irrinunciabili di tale dottrina non sono «norme peculiari della morale cattolica» ma appartengono alle «verità elementari che riguardano la nostra comune umanità»” (idem).

I valori umani oggi più compromessi sono:

    • la persona e il rispetto della vita umana dal concepimento al suo termine naturale;
    • la famiglia nella sua identità naturale;
    • la libertà di scelta educativa scolastica;
    • la solidarietà;
    • la promozione della giustizia e della pace;
    • la moralità personale e sociale;
    • lo sviluppo del Mezzogiorno con l’incremento dell’occupazione e la lotta alla criminalità organizzata, accompagnato da un profondo rinnovamento culturale della legalità;
    • la stessa Costituzione Italiana nel rispetto dei valori riguardanti la persona.

Esorto vivamente i pastori e gli organismi ecclesiali a rispettare i presenti orientamenti che ho voluto richiamare in piena sintonia con il Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana e il magistero del Santo Padre Benedetto XVI.

Nel salutarvi con affetto, invoco su di voi e sulle Città dell’Arcidiocesi la benedizione di Dio.

Trani, 23 Aprile 2006

X Giovan Battista Pichierri

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La politica è anzitutto arte.

Di d. Tonino Bello

La politica è anzitutto arte.

Il che significa che   chi la pratica deve essere un artista. 
Un uomo di genio. Una persona di   fantasia. 
Disposta sempre meno alle costrizioni   della logica di partito
e sempre più all’invenzione creativa che   gli viene chiesta 
dalla irripetibilità della   persona.

La politica è poi arte nobile.

Nobile perché legata al mistico rigore di alte idealità.

Nobile, perché emergente di incoercibili esigenze di progresso,

di pace, di libertà.

Nobile, perché ha come fine il riconoscimento

della dignità della persona umana, nella sua dimensione

individuale e comunitaria.

La politica è, infine, arte nobile e difficile.

Difficile perché le sue regole non sono assolute e imperiture.

Sicché, proprio per evitare i rischi dell’ideologia,

vanno rimesse continuamente in discussione.

Difficile, perché esige il saper vivere nella

conflittualità dei partiti ,

contemperando il rispetto e la lotta,

l’accoglimento e il rifiuto,

la convergenza e la divaricazione.

Difficile, perché richiede,

nei credenti in modo particolare,

la presa di coscienza della autonomia della politica

da ogni ipoteca confessionale e il riconoscimento 

della sua laicità e della sua mondanità.

Difficile, perché significa affermare,

pur nell’ambito della comunità cristiana,

un pluralismo di opzioni.”

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Mons. Monari - Vescovo di Brescia

Settimanale diocesano di Brescia
“La Voce del Popolo”

I credenti e il momento della scelta elettorale

15 Febbraio 2008

Fonte settimanale diocesano di Brescia “Voce del Popolo”, rilevato da Ciani Vittorio e Copelli Marcello.

Brescia – Tra pochi mesi, i cittadini bresciani saranno chiamati alle urne per le elezioni amministrative che si svolgeranno, con molta probabilità, insieme alle politiche. La città di Piacenza, dalla quale proviene il nostro Vescovo ha vissuto una situazione analoga nel maggio dello scorso anno e in quell’occasione Mons. Monari si espresse apertamente. Di seguito, stralci del documento che il Vescovo scrisse, che potrete trovare in versione integrale sul settimanale “La Voce del Popolo” disponibile da venerdì 15 febbraio.

Con quali occhi mons. Monari guarda alle prossime elezioni amministrative di Brescia? Una risposta può arrivare da un documento che, da Vescovo di Piacenza, rivolse alla città in una situazione analoga lo scorso anno. Quelle considerazioni, approssimandosi l’appuntamento con le urne, meritano di essere portate a conoscenza anche dei bresciani. In questa pagina viene pubblicato integralmente il documento in questione.

Mons. Luciano Monari, Vescovo Brescia

I credenti e le elezioni

Tra qualche mese saremo chiamati a votare per eleggere il sindaco e il Consiglio Comunale. Che cosa può interessare a un Vescovo in un appuntamento del genere? Non certo l’indicazione dello schieramento per cui votare. È una riflessione che ho fatto più volte e che ripeto ancora una volta con fermezza: sulla scelta di voto Vescovo e preti hanno il dovere di rimanere estranei. Ci sono credenti nei diversi schieramenti e rispettiamo sinceramente gli unì e gli altri.

Le variabili che determinano un’espressione di voto sono così numerose e diverse che si comprende facilmente come possano nascere decisioni diverse, anche quando si condividono molti valori e si desiderano cose simili. È vero che a volte escono proclami che vorrebbero scomunicare i cristiani che votano dall’altra parte, considerandoli non sufficientemente coerenti o in contrasto con la posizione della Chiesa. Ma, per fortuna, la scomunica è riservata ai Vescovi e al Papa e non tocca a nessun altro decidere chi sia in comunione con la Chiesa o no. Per di più il vangelo ci chiede di usare questo potere con cautela e discrezione, animati da un amore sincero per gli altri (cf. Mt 18, 15ss).

Il mio interesse di Vescovo è un altro: vorrei aiutare i credenti a vivere questo momento di responsabilità nel modo corretto, coerentemente con la loro fede. Come?

Parto da un’osservazione semplicissima: la città costituisce un “sistema” e cioè un insieme di famiglie, istituzioni, competenze, organismi, persone che sono intrecciati tra loro e proprio da questo intreccio viene la possibilità di vivere in modo “umano”. Dal mattino alla sera la mia esistenza si muove tra persone e istituzioni diverse dal cui comportamento e funzionamento dipende in buona parte il mio benessere: si pensi all’economia, al commercio, alla sanità o al campo immenso della comunicazione. Posso vivere bene solo se ciascuno svolge correttamente il suo servizio, secondo le sue competenze e responsabilità.

Vorrei insistere su questo perché spesso la conflittualità rischia di diventare esasperata e, a mio parere, distruttiva.

Dobbiamo convincerci che abbiamo bisogno gli unì degli altri e che la qualità della nostra vita non migliora con l’eliminazione degli avversari, ma piuttosto con l’instaurarsi di legami di collaborazione corretta. È vero che la concorrenza è utile al progresso della società; ma appunto: la concorrenza, non la guerra. La concorrenza ha bisogno dell’altro e solo nel confronto con l’altro si sviluppa. Se l’altro viene eliminato entriamo nel regime di monopolio (di totalitarismo) e questo, ne siamo convinti, non aiuta affatto la crescita della società e non migliora il benessere delle persone.

Una seconda riflessione fa riferimento al sistema democratico di gestione del potere, un sistema nel quale siamo inseriti consapevolmente. È chiaro che non esistono sistemi politici perfetti e che anche la democrazia ha i suoi difetti di funzionamento. Ma finora non è stato trovato nulla di meglio per affrontare e risolvere i conflitti di interessi e di idee che possono verificarsi nel tessuto sociale. Ora, la democrazia suppone che tutti i contendenti condividano una serie notevole di convinzioni (si pensi ai principi fondamentali della Costituzione) e accettino regole comuni di comportamento (quelle decise mediante l’uso corretto delle procedure democratiche).

L’altro non può essere visto come “nemico”

Certo, in una democrazia possono confrontarsi visioni diverse dell’uomo e della società; possono incontrarsi e scontrarsi interessi e preferenze. Ma tutto questo suppone anzitutto una base comune. Esserne consapevoli aiuta a non cadere nella trappola del vedere l’altro come fosse il “nemico”. I segni di questa deformazione non mancano: quando, ad esempio, si distingue immediatamente chi sta dalla nostra parte e chi sta dall’altra parte, per cui, di fronte a un problema, invece di chiedere: che cosa ritieni giusto e perché? Si chiede: da che parte stai?

Avviene allora che usiamo due pesi e due misure evidenziando alcuni dati e nascondendone altri a seconda del problema che affrontiamo e delle persone con cui abbiamo a che fare. Gli esempi sarebbero tantissimi ma non li presento perché verrei subito “etichettato” e gli esempi sarebbero facilmente qualificati “di destra” o “di sinistra”.

Qui bisogna che ciascuno si assuma la responsabilità di purificare in se stesso le radici delle visioni unilaterali, ideologiche. È un lavoro che nessuno può fare a nome degli altri; ed è un lavoro doloroso perché ci costringe a confessare (a noi stessi) le nostre ipocrisie (che ci sono!), i nostri pregiudizi, gli interessi nascosti (che non sono solo interessi economici ma anche ideologici, partitici). Se non passiamo da questa porta stretta non riusciremo mai a costruire mia società migliore; e se non costruiamo una società migliore ci rimettiamo tutti. È illusione quella di chi, considerandosi buon nuotatore nell’oceano della società, ritiene di poter sopravvivere anche in mezzo a ingiustizie. È vero che nell’immediato qualcuno può approfittare furbamente del disordine; ma a lungo andare ci rimetterà anche lui, ci rimetteranno i suoi figlio le persone a lui care perché un meccanismo sociale inceppato produce inevitabilmente regresso. Vale la pena?

Nemmeno dobbiamo cadere nella trappola di chi dice: debbono cominciare gli altri perché sono loro i maggiori colpevoli. Un ragionamento del genere nasce non dalla ricerca del bene comune, ma dalla ricerca della propria affermazione sugli altri. Non si tratta di distribuire colpe, ma di praticare le strade più utili al bene di tutti. E in questa linea si muove per primo chi ha buona volontà, senza necessariamente attendere che si muovano gli altri. Purificare i nostri pensieri e i nostri desideri significa diventare noi stessi più autentici, più umani. E già questo sarebbe un obiettivo desiderabile.

In concreto dobbiamo considerare l’appuntamento elettorale come un momento di grazia. Dio ha creato l’uomo come essere sociale e accettare questa dimensione della nostra vita è motivo di fierezza e di gioia.

Con le elezioni ci assumiamo una piccola parte di responsabilità nella determinazione del cammino futuro della nostra città. È vero che un singolo voto conta poco, come una goccia d’acqua nel mare, ma anche l’oceano è fatto di gocce d’acqua.

Impariamo così ad accettare la misura del nostro limite (siamo piccoli e non possiamo pensare che la società si costruisca attorno ai nostri bisogni) e nello stesso tempo la nostra responsabilità (siamo inseriti nel circolo vitale della città e non ci è lecito “chiamarci fuori”, come i bambini capricciosi). San Paolo insegnava ai Corinzi che nella comunità cristiana nessuno può dire agli altri: “Non ho bisogno di voi” così come nessuno può dire: “Non c’è bisogno di me.” E questo saggio ragionamento vale anche per la società civile.

Tendere al bene comune

Ciascuno, naturalmente, farà la sua scelta. Deve imparare a farla non prendendo come criterio solo l’interesse personale, ma il bene di tutti. La dottrina sociale della Chiesa parla, a questo proposito, di bene comune. Che non è solo la somma aritmetica dei beni individuali; e nemmeno una specie di equilibrio tra le diverse necessità e i diversi interessi. Così si esprime il Concilio: il bene comune si concreta “nell’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (GS 26).

È chiaro che la visione di questo ordine dipenderà in buona parte dal modo di pensare la persona umana e suo bene. Per l’economicismo il bene comune tenderà a identificarsi con lo sviluppo economico e la quantità di ricchezza prodotta; per l’ecologismo il bene comune sarà definito in gran parte dal rispetto ambientale; e così via. Ci sono tante interpretazioni del bene comune quante sono le ‘antropologie’ cioè i modi di pensare la persona umana.

Per un cristiano il bene comune sarà quello che garantisce alla persona umana in quanto tale il contesto di vita migliore e più efficace per sviluppare se stesso non solo nella dimensione dei beni materiali ma anche in quella dei beni dello spirito. A questo livello la fede può influire sulla visione del bene comune e quindi, indirettamente, sulle scelte politiche e amministrative.

Una riflessione corretta sul rapporto che unisce la visione cristiana dell’uomo e le concrete scelte operative richiede un impegno di approfondimento non facile che normalmente potrà essere svolto solo insieme ad altri. Sarà una parte di quello che il Convegno di Palermo ha chiamato ‘discernimento comunitario’ e che, seppure con fatica, le nostre comunità cristiane stanno tentando di apprendere ed esercitare. A questo punto del cammino ci viene chiesto magnanimità (che è il contrario della meschinità e della piccineria), lucidità (che è il contrario dell’ideologia e del pressappochismo), carità. Sono preziose le parole di Paolo che, trovandosi di fronte a posizioni diverse all’interno della comunità cristiana ammonisce: “La conoscenza gonfia, mentre la carità edifica. Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere. Chi invece ama Dio, è da lui conosciuto.” (l Cor 8, 2-3) Volentieri ci lasciamo conoscere da Dio perché il nostro cuore sia reso sincero e le sue decisioni sagge.

† Mons. Luciano Monari

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