Chiesa

Prot. n. 1294/09 

DECRETO circa LE MESSE PLURINTENZIONALI in DIOCESI

         Attentamente considerato il lungo periodo di applicazione in Diocesi del Decreto vescovile di Mons. Foresti del 4 maggio 1992, in relazione alla disciplina delle messe plurintenzionali in Diocesi, e preso atto che in molte Parrocchie il regime eccezionale e restrittivo previsto dal decreto vescovile si è trasformato in prassi pressoché ordinaria, in caso di eccedenza di intenzioni per la celebrazione di SS. Messe;

         preso atto che la disciplina generale stabilita dal Decreto Mos Iugiter della Congregazione per il Clero del 1991 ha ribadito in materia il tenore vincolante del can. 948 e la ferma precedenza del principio della solidarietà verso sacerdoti e Diocesi sprovviste di intenzioni, prima di concedere il permesso di messe plurintenzionali;

         considerato che ormai da tempo presso l’Ufficio SS. Messe della Promotoria della nostra Curia diocesana non vengono più depositate intenzioni come esercizio di solidarietà e carità verso sacerdoti e/o Diocesi in necessità;

         sentito il parere del Consiglio episcopale e del Consiglio presbiterale, in virtù delle facoltà ordinarie,

DECRETO 

che a partire del 1° gennaio 2010 sia vigente in Diocesi la seguente disciplina,

abrogando ogni altra normativa e consuetudine ad essa contraria:

  

  • Non saranno più concesse alle Parrocchie nuove autorizzazioni o rinnovi di autorizzazioni per la celebrazione di Messe plurintenzionali a partire dal 1° gennaio 2010.
  • Eventuali intenzioni già raccolte nelle Parrocchie autorizzate per la celebrazione di Messe plurintenzionali dovranno essere regolarmente soddisfatte durante l’anno solare 2010.
  • Nelle Parrocchie in cui vi è eccedenza di intenzioni il Parroco è invitato a versare dette intenzioni presso la Promotoria della Curia diocesana, aiutando i fedeli a comprendere il profondo significato ecclesiale di un tale gesto di comunione e carità verso la Chiesa locale  e universale.
  • Non è contraria alla suddetta disciplina la prassi presente in alcune Parrocchie di raccogliere, in occasione di una celebrazione solenne, delle intenzioni per SS. Messe, informando prima i fedeli, al fine di destinarle direttamente alle Missioni o per altri bisogni della Chiesa universale.
  • Infine, ribadendo il valore del principio già espresso nella nota a margine del citato decreto di Mons. Foresti del 1992, si ritiene opportuno che la citazione del NOME del defunto venga OMESSA nel canone durante la celebrazione delle Messe PREFESTIVE e FESTIVE, al fine di favorire nei fedeli una partecipazione sempre più responsabilmente comunitaria.

 

DISPONGO CHE IL PRESENTE DECRETO RESTI ESPOSTO NELLE BACHECHE DELLE CHIESE DI OGNI PARROCCHIA

 PER ALMENO SEI MESI

Brescia, 30 novembre 2009.

         IL VESCOVO

 ____________________

                                                                                                Luciano Monari

 

IL CANCELLIERE DIOCESANO

____________________________

            Sac. Marco Alba

LO STEMMA

DI SUA SANTITÀ

BENEDETTO XVI

StemmaBenedettoXVI

Fin dai tempi medioevali, gli stemmi sono diventati di uso comune per i guerrieri e per la nobiltà, e si è quindi venuto sviluppando un ben articolato linguaggio che regola e descrive l'araldica civile. Parallelamente, anche per il clero si è formata un'araldica ecclesiastica. Essa segue le regole di quella civile per la composizione e la definizione dello scudo, ma vi pone intorno simboli ed insegne di carattere ecclesiastico e religioso, secondo i gradi dell'Ordine sacro, della giurisdizione e della dignità. È tradizione, da almeno otto secoli, che anche i Papi abbiano un proprio stemma personale, oltre a simbolismi propri della Sede Apostolica. Particolarmente nel Rinascimento e nei secoli successivi, era uso decorare con lo stemma del Sommo Pontefice felicemente regnante tutte le principali opere da lui eseguite. Stemmi papali appaiono infatti in opere di architettura, in pubblicazioni, in decreti e documenti di carattere vario.

 

Spesso i Papi adottavano lo scudo della propria famiglia, se esso esisteva, oppure componevano uno scudo con simbolismi che indicavano una propria idealità di vita, o un riferimento a fatti o esperienze passate, oppure ad elementi connessi con un proprio programma di pontificato. Talvolta apportavano qualche variante allo scudo che avevano adottato da Vescovi. Anche il Cardinale Giuseppe Ratzinger, eletto Papa ed assumendo il nome di Benedetto XVI, ha scelto uno stemma ricco di simbolismi e di significati, per affidare alla storia la sua personalità ed il suo Pontificato.

Uno stemma, come si sa, si compone di uno scudo, che porta alcuni simboli significativi, ed è circondato da elementi, che indicano la dignità, il grado, il titolo, la giurisdizione, ecc. Lo scudo adottato dal Papa Benedetto XVI ha una composizione molto semplice:  esso è del tipo a calice, che è la forma maggiormente usata nell'araldica ecclesiastica (un'altra forma è quella a testa di cavallo, come adottò Paolo VI). All'interno, variando la composizione nei rispetti del suo scudo cardinalizio, lo scudo di Papa Benedetto XVI è diventato:  di rosso, cappato di oro. Il campo principale, infatti, che è di rosso, porta due campiture laterali negli angoli superiori a modo di "cappa", che sono di oro. La "cappa" è un simbolo di religione. Essa indica una idealità ispirata alla spiritualità monastica, e più tipicamente a quella benedettina. Vari Ordini o Congregazioni religiose hanno adottato la forma "cappata" nel loro stemma, come ad esempio i Carmelitani, ed i Domenicani, anche se questi ultimi lo portavano solo in una simbologia più primitiva della loro attuale. Benedetto XIII, Pietro Francesco Orsini (1724-1730), dell'Ordine dei Predicatori, adottò il "capo domenicano", che è di bianco cappato di nero.

Lo scudo di Papa Benedetto XVI contiene dei simbolismi che egli già aveva introdotto nel suo stemma come Arcivescovo di München und Freising (Monaco e Frisinga), e poi come Cardinale. Essi però nella nuova composizione sono ora ordinati in un modo diverso. Il campo principale dello stemma è quello centrale, che è di rosso. Nel punto più nobile dello scudo, vi è una grande conchiglia di oro, la quale ha una triplice simbologia. Essa dapprima ha un significato teologico:  vuole ricordare la leggenda attribuita a sant'Agostino, il quale incontrando un giovinetto sulla spiaggia, che con una conchiglia cercava di mettere tutta l'acqua del mare in una buca di sabbia, gli chiese cosa facesse. Quello gli spiegò il suo vano tentativo, ed Agostino capì il riferimento al suo inutile sforzo di tentare di far entrare l'infinità di Dio nella limitata mente umana. La leggenda ha un evidente simbolismo spirituale, per invitare a conoscere Dio, seppure nell'umiltà delle inadeguate capacità umane, attingendo alla inesauribilità dell'insegnamento teologico. La conchiglia, inoltre è da secoli usata per rappresentare il pellegrino:  simbolismo che Benedetto XVI vuole mantenere vivo, calcando le orme di Giovanni Paolo II, grande pellegrino in ogni parte del mondo. La casula da Lui usata nella solenne liturgia dell'inizio del suo Pontificato, domenica 24 aprile, portava con evidenza il disegno di una grande conchiglia. Essa è anche il simbolo presente nello stemma dell'antico Monastero di Schotten, presso Regensburg (Ratisbona) in Baviera, cui Joseph Ratzinger si sente spiritualmente molto legato.

Nella parte dello scudo denominata "cappa", vi sono anche due simboli venuti dalla tradizione della Baviera, che Joseph Ratzinger divenuto nel 1977 Arcivescovo di Monaco e Frisinga aveva introdotto nel suo stemma arcivescovile. Nel cantone destro dello scudo (a sinistra di chi guarda) vi è una testa di moro al naturale (ovvero di colore bruno), con labbra, corona e collare di rosso. È l'antico simbolo della Diocesi di Frisinga, nata nell'VIII secolo, diventata Arcidiocesi Metropolitana col nome di Monaco e Frisinga nel 1818, dopo il Concordato tra Pio VII ed il Re Massimiliano Giuseppe di Baviera (5 giugno 1817). La testa di Moro non è rara nell'araldica europea. Essa appare tutt'oggi in molti stemmi della Sardegna e della Corsica, oltre a vari blasoni di famiglie nobili. Anche nello stemma del Papa Pio VII, Barnaba Gregorio Chiaramonti (1800- 1823), apparivano tre teste di Moro. Ma il Moro nell'araldica italica in generale porta intorno alla testa una banda bianca, che indica lo schiavo reso libero, e non è coronato, mentre lo è nell'araldica germanica. Nella tradizione bavarese la testa di moro appare infatti molto spesso, ed è denominata caput ethiopicum, o moro di Frisinga.

Nel cantone sinistro della cappa, compare un orso, di colore bruno (al naturale), che porta un fardello sul dorso. Un'antica tradizione racconta come il primo Vescovo di Frisinga, san Corbiniano (nato verso il 680 in Chartres, Francia, morto l'8 settembre 730), messosi in viaggio per recarsi a Roma a cavallo, mentre attraversava una foresta fu assalito da un orso, che gli sbranò il cavallo. Egli però riuscì non solo ad ammansire l'orso, ma a caricarlo dei suoi bagagli facendosi accompagnare da lui fino a Roma. Per cui l'orso è rappresentato con un fardello sul dorso. La facile interpretazione della simbologia vuole vedere nell'orso addomesticato dalla grazia di Dio lo stesso Vescovo di Frisinga, e suole vedere nel fardello il peso dell'episcopato da lui portato.

Lo scudo dello stemma papale può quindi essere descritto ("blasonato") secondo il linguaggio araldico nel seguente modo:  "Di rosso, cappato di oro, alla conchiglia dello stesso; la cappa destra, alla testa di moro al naturale, coronata e collarinata di rosso; la cappa sinistra, all'orso al naturale, lampassato e caricato di un fardello di rosso, cinghiato di nero".

Lo scudo reca al suo interno - come abbiamo descritto - le simbologie legate alla persona che se ne fregia, alle sue idealità, alle sue tradizioni, ai suoi programmi di vita ed ai principi che lo ispirano e lo guidano. I vari simboli del grado, della dignità e della giurisdizione dell'individuo appaiono invece all'intorno dello scudo. È tradizione, da tempo immemorabile, che il Sommo Pontefice porti nel suo stemma, intorno allo scudo, le due chiavi "decussate" (ovvero incrociate in croce di s. Andrea), una d'oro e una d'argento:  da vari autori interpretate come i simboli del potere spirituale e del potere temporale. Esse appaiono dietro allo scudo, o al di sopra di esso, affermandosi con una certa evidenza. Il Vangelo di Matteo narra che Cristo ha detto a Pietro "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (cap. 16, v.19). Le chiavi sono quindi il tipico simbolo del potere dato da Cristo a San Pietro ed ai suoi successori. Pertanto, esse giustamente appaiono in ogni stemma papale.

Nell'araldica civile vi è sempre al di sopra dello scudo un copricapo, in generale una corona. Anche nell'araldica ecclesiastica appare normalmente un copricapo, evidentemente di tipo ecclesiastico. Nel caso del Sommo Pontefice fin dai tempi antichi appare una "tiara". Essa era all'inizio un tipo di "tocco" chiuso. Nel 1130 fu accompagnato da una corona, simbolo di sovranità sugli Stati della Chiesa. Bonifacio VIII, nel 1301, aggiunse una seconda corona, al tempo del confronto col Re di Francia, Filippo il Bello, per significare la sua autorità spirituale al di sopra di quella civile. Fu Benedetto XII, nel 1342 ad aggiungere una terza corona per simbolizzare l'autorità morale del Papa su tutti i monarchi civili, e riaffermare il possesso di Avignone. Col tempo, perdendo i suoi significati di carattere temporale, la tiara d'argento con le tre corone d'oro è rimasta a rappresentare i tre poteri del Sommo Pontefice:  di Ordine sacro, di Giurisdizione e di Magistero. Negli ultimi secoli, i Papi usarono la tiara nei pontificali solenni, ed in particolare nel giorno della "incoronazione", all'inizio del loro pontificato. Paolo VI usò per tale funzione una preziosa tiara regalatagli dalla diocesi di Milano, come già questa aveva fatto per Pio XI, ma poi la destinò ad opere di beneficenza ed iniziò l'uso corrente di una semplice "mitra" (o "mitria"), pur talvolta impreziosita da decorazioni o gemme. Egli però lasciò la "tiara" insieme con le chiavi decussate come simbolo della Sede Apostolica.

Oggi, giustamente, la cerimonia con cui il Sommo Pontefice inaugura solennemente il suo Pontificato non si chiama più "incoronazione", come si diceva in passato. La piena giurisdizione del Papa, infatti, inizia dal momento della sua accettazione dell'elezione fatta dai Cardinali in Conclave e non da una incoronazione, come per monarchi civili. Per cui tale cerimonia si denomina semplicemente come solenne inizio del suo Ministero Petrino, come è avvenuto per Benedetto XVI, il 24 aprile corrente.

Il Santo Padre Benedetto XVI ha deciso di non mettere più la tiara nel suo stemma ufficiale personale, ma di porre solo una semplice mitra, che non è quindi sormontata da una piccola sfera e da una croce come lo era la tiara. La mitra pontificia raffigurata nel suo stemma, a ricordo delle simbologie della tiara, è di argento e porta tre fasce d'oro (i tre suddetti poteri di Ordine, Giurisdizione e Magistero), collegati verticalmente fra di loro al centro per indicare la loro unità nella stessa persona.

Un simbolo del tutto nuovo nello stemma del Papa Benedetto XVI è invece la presenza del "pallio". Non è tradizione, almeno recente, che i Sommi Pontefici lo rappresentino nel loro stemma. Tuttavia, il pallio è la tipica insegna liturgica del Sommo Pontefice, e compare molto spesso in antiche raffigurazioni papali. Indica l'incarico di essere il pastore del gregge a Lui affidato da Cristo. Nei primi secoli i Papi usavano una vera pelle di agnello poggiata sulla spalla. Poi entrò nell'uso un nastro di lana bianca, intessuto con pura lana di agnelli allevati per tale scopo. Il nastro portava alcune croci, che nei primi secoli erano in nero, oppure talvolta in rosso. Già nel IV secolo il pallio era una insegna liturgica propria e tipica del Papa. Il conferimento del pallio da parte del Papa agli arcivescovi metropoliti iniziò nel VI secolo. L'obbligo da parte di questi di postulare il pallio dopo la loro nomina è attestato fin dal IX secolo. Nella famosa lunga serie iconografica dei medaglioni che nella Basilica di San Paolo riportano l'effigie di tutti i Papi della storia (benché particolarmente i più antichi siano di fattezze idealizzate) moltissimi Sommi Pontefici sono raffigurati con il pallio, particolarmente tutti quelli fra il V ed il XIV secolo. Il pallio è quindi il simbolo non solo della giurisdizione papale, ma anche il segno esplicito e fraterno del compartire questa giurisdizione con gli Arcivescovi metropoliti, e mediante questi con i Vescovi loro suffraganei. Esso quindi è segno visibile della collegialità e della sussidiarietà. Anche vari Patriarchi Orientali usano una forma antichissima, molto simile al pallio, detta omophorion.

Nell'araldica in generale, sia civile, sia ecclesiastica (particolarmente nei gradi inferiori) è uso mettere al di sotto dello scudo un nastro, o cartiglio, che reca un motto, o divisa. Esso riporta in una sola o in poche parole una idealità, o un programma di vita. Il Cardinale Giuseppe Ratzinger aveva nel suo stemma arcivescovile e cardinalizio il motto: "Cooperatores Veritatis". Esso rimane come sua aspirazione e programma personale, ma non compare nello stemma papale, secondo la comune tradizione degli stemmi dei Sommi Pontefici negli ultimi secoli. Tutti ricordiamo come Giovanni Paolo II citasse spesso il motto "Totus Tuus", sebbene non figurasse nel suo stemma papale. La mancanza di un motto nello stemma del Papa non vuol dire mancanza di programma, ma significa invece apertura senza esclusione a tutte le idealità che derivino dalla fede, dalla speranza e dalla carità.

Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo Nunzio apostolico

BIOGRAFIA
DI SUA SANTITÀ

Stemma Benedetto XVI

BENEDETTO XVI

BendettoXVIIl Cardinale Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, è nato a Marktl am Inn, diocesi di Passau (Germania), il 16 aprile del 1927 (Sabato Santo), e battezzato lo stesso giorno. Il padre, Commissario di polizia, proveniva da un’antica famiglia di agricoltori della Bassa Baviera, di condizioni economiche piuttosto modeste. La madre era figlia di artigiani di Rimsting, sul lago Chiem, e prima di sposarsi aveva lavorato come cuoca in vari hotels.

Trascorse l’infanzia e l’adolescenza in Traunstein, piccola località vicina alla frontiera con l’Austria, a 30 km. da Salisburgo. In questo contesto, che egli stesso ha definito “mozartiano”, ricevette  la sua formazione cristiana, umana e culturale.

Non fu facile il periodo della sua giovinezza. La fede e l’educazione della famiglia lo prepararono ad affrontare la dura esperienza di quei tempi, in cui il regime nazista manteneva un clima di forte ostilità contro la Chiesa cattolica. Il giovane Joseph vide come i nazisti colpivano il parroco prima della celebrazione della Santa Messa.

 Proprio in tale complessa situazione, egli ebbe a scoprire la bellezza e la verità della fede in Cristo; un ruolo fondamentale per questo svolse l’attitudine della sua famiglia, che sempre dette chiara testimonianza di bontà e di speranza, radicata nella consapevole appartenenza alla Chiesa.

Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale fu arruolato nei servizi ausiliari antiaerei. 

Dal 1946 al 1951 studiò filosofia e teologia nella Scuola superiore di filosofia e di teologia di Frisinga e nell’università di Monaco di Baviera.

Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1951.

Un anno dopo intraprese l’insegnamento nella Scuola superiore di Frisinga.

Nel 1953 divenne dottore in teologia con la tesi “Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”. Quattro anni dopo, sotto la direzione del noto professore di teologia fondamentale Gottlieb Söhngen, ottenne l’abilitazione all’insegnamento con una dissertazione su: “La teologia della storia di San Bonaventura”.

Dopo aver insegnato teologia dogmatica e fondamentale nella Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga, proseguì la sua attività di docenza a Bonn, dal 1959 al 1963; a Münster, dal 1963 al 1966; e a Tubinga, dal 1966 al 1969. In quest’ultimo anno divenne cattedratico di dogmatica e storia del dogma all’Università di Ratisbona, dove ricoprì al tempo stesso l’incarico di vicepresidente dell’Università.

Dal 1962 al 1965 dette un notevole contributo al Concilio Vaticano II come “esperto”; assistette come consultore teologico del Cardinale Joseph Frings, Arcivescovo di Colonia.

Un’intensa attività scientifica lo condusse a svolgere importanti incarichi al servizio della Conferenza Episcopale Tedesca e nella Commissione Teologica Internazionale.

Nel 1972, insieme ad Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac ed altri grandi teologi, dette inizio alla rivista di teologia “Communio”.

Il 25 marzo del 1977 il Papa Paolo VI lo nominò Arcivescovo di Monaco e Frisinga e ricevette l’Ordinazione episcopale il 28 maggio. Fu il primo sacerdote diocesano, dopo 80 anni, ad assumere il governo pastorale della grande Arcidiocesi bavarese. Come motto episcopale scelse “collaboratore della verità”, ed egli stesso ne dette la spiegazione: “per un verso, mi sembrava che era questo il rapporto esistente tra il mio precedente compito di professore e la nuova missione. Anche se in modi diversi, quel che era e continuava a restare in gioco era seguire la verità, stare al suo servizio. E, d’altra parte, ho scelto questo motto perché nel mondo di oggi il tema della verità viene quasi totalmente sottaciuto; appare infatti come qualcosa di troppo grande per l’uomo, nonostante che tutto si sgretoli se manca la verità”.

Paolo VI lo creò Cardinale, con il titolo presbiterale di “Santa Maria Consolatrice al Tiburtino”, nel Concistoro del 27 giugno del medesimo anno.

Nel 1978, il Cardinale Ratzinger prese parte al Conclave, svoltosi dal 25 al 26 agosto, che elesse Giovanni Paolo I, il quale lo nominò suo Inviato Speciale al III Congresso mariologico internazionale celebratosi a Guayaquil, in Ecuador, dal 16 al 24 settembre. Nel mese di ottobre dello stesso anno prese parte al Conclave che elesse Giovanni Paolo II.

Fu relatore nella V Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1980 sul tema: “Missione della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo”, e Presidente delegato della VI Assemblea Generale Ordinaria del 1983 su “La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa”.

Giovanni Paolo II, il 25 novembre del 1981, lo nominò Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Il 15 febbraio del 1982 rinunciò al governo pastorale dell’Arcidiocesi di  Monaco e Frisinga;  il 5 aprile del 1993 venne elevato dal Pontefice all’Ordine dei Vescovi, e gli fu assegnata la sede suburbicaria di Velletri - Segni.

E’ stato Presidente della Commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che, dopo sei anni di lavoro (1986–1992), ha presentato al  Santo Padre  il nuovo Catechismo.

Giovanni Paolo II, il 6 novembre del 1998, approvò la sua elezione a Vice Decano del Collegio cardinalizio da parte dei Cardinali dell’Ordine dei Vescovi, e, il 30 novembre del 2002,  quella a Decano con la contestuale assegnazione della sede suburbicaria di Ostia.

Fu Inviato Speciale del Papa alle celebrazioni per il XII centenario dell’erezione della Diocesi di Paderborn, in Germania, che ebbero luogo il 3 gennaio 1999.

Dal 13 novembre del 2000 era Accademico onorario della Pontificia Accademia delle Scienze.

Nella Curia Romana è stato membro del Consiglio della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati; delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per i Vescovi, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per l’Educazione Cattolica, per il Clero e delle Cause dei Santi; dei Consigli Pontifici per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Cultura; del Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica; e delle Commissioni Pontificie per l’America Latina, dell’“Ecclesia Dei”, per l’Interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico e per la Revisione del Codice di Diritto Canonico Orientale.

Tra le sue numerose pubblicazioni, occupa un posto particolare il libro: “Introduzione al Cristianesimo”, silloge di lezioni universitarie pubblicate nel 1968 sulla professione della fede apostolica; “Dogma e predicazione” (1973), antologia di saggi, omelie e riflessioni dedicate alla pastorale.

Ebbe grande eco il discorso che tenne davanti all’Accademia bavarese sul tema “Perché sono ancora nella Chiesa” nel quale, con la solita sua chiarezza, affermò: “Solo nella Chiesa è possibile essere cristiano e non ai margini della Chiesa”.

Continuò ad essere abbondante la serie delle sue pubblicazioni nel corso degli anni, costituendo un punto di riferimento per tante persone, specialmente per  quanti volevano approfondire lo studio della teologia. Nel 1985 pubblicò il libro-intervista: “Rapporto sulla fede” e, nel 1996, “Il sale della terra”. Ugualmente, in occasione del suo 70° genetliaco, venne edito il libro: “Alla scuola della verità”, in cui vari autori illustrano diversi aspetti della sua personalità e della sua opera.

Numerosi sono i dottorati “honoris causa” che egli ha ricevuto: dal College of St. Thomas in St. Paul (Minnesota, USA) nel 1984; dall’Università cattolica di Lima nel 1986; dall’Università cattolica di Eichstätt nel 1987; dall’Università cattolica di Lublino nel 1988; dall’Università di Navarra (Pamplona, Spagna) nel 1998; dalla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) nel 1999; dalla Facoltà di teologia dell’Università di Breslavia (Polonia) nel 2000.

 [nella sezione download trovi le Encicliche di Papa Benedetto XVI]

HABEMUS PAPAM

FRANCISCUM

 beschi1

banner beschi

Buen Camino

Mons. Francesco Beschi nominato vescovo di Bergamo

E' ufficiale: il nuovo vescovo di Bergamo è mons. Francesco Beschi, vescovo ausiliare di Brescia. L'annuncio ufficiale è stato dato oggi, 22 gennaio, alle ore 12 in Curia: prassi vuole che la comunicazione venga data dalla sala stampa vaticana in contemporanea con le diocesi di appartenenza e di destinazione. Succede Mons. Roberto Amadei

 

beschifestasettembre2006Mons. Francesco Beschi è nato a Brescia il 6 agosto del 1951 ed è stato ordinato nel Seminario di Brescia da mons. Luigi Morstabilini il 7 giugno 1975. Ha celebrato la prima messa nella sua parrocchia cittadina di S. Anna nella periferia di Brescia. Una parrocchia periferica, S. Giulio Prete al Villaggio Sereno, è stata la sua prima destinazione. Nel 1981 mons. Morstabilini lo ha destinato alla parrocchia della Cattedrale come vicario cooperatore e mansionario. Nel 1987 mons. Bruno Foresti lo nomina direttore dell’Ufficio famiglia. Nel 1989 succede a mons. Gennaro Franceschetti nella direzione del Centro pastorale Paolo VI. In quegli anni segue anche il giovane clero nelle attività del biennio formativo. Nel 1999 mons. Giulio Sanguineti lo nomina Vicario episcopale per la pastorale dei laici e per i loro organismi di comunione e nel 2001 Provicario generale della diocesi.

 

Eletto Vescovo titolare di Vinda e Ausiliare del Vescovo di Brescia il 25 marzo 2003. Consacrato nella Cattedrale di Brescia il 18 maggio 2003 . Oltre agli studi teologici mons. Beschi ha frequentato il Conservatorio per i corsi di violino

 

STEMMA E MOTTO

stemma beschi

Stemma in mantello. D’azzurro al 1°, d’argento al 2°, con cucite una croce a doppia traversa d’oro ed una stella a cinque punte pure d’oro, d’azzurro al 3°. Scudo sannitico alla modernaaccollato alla croce vescovile d’oro e coronato dal cappello vescovile di verde con dodici nappe. L’azzurro, come colore del cielo, simboleggia ogni aspirazione all’alto, compresa la tensione alla gloria incorruttibile. Ed anche le virtù soprannaturali, come pure i doni che vengono dall’alto. L’argentosimboleggia varie realtà: l’amicizia, l’equità, la giustizia, l’innocenza e la purezza. Nello scudo azzurro il triangolo argenteorichiama il mistero della SS. Trinità. La croce a doppia traversad’oro, nel triangolo, è un chiaro riferimento alla Cattedrale di Brescia e al tesoro delle Sante Croci, che vi è conservato. La stella a cinque punted’oro è simbolo tipicamente mariano.
 
Il cartiglio porta il motto: “SECUNDUM VERBUM TUUM” con evidente richiamo al mistero dell’Annunciazione, nella cui solennità cadde la nomina a Vescovo Ausiliare di mons. Francesco Beschi
 

 

 

beschifestasettembre2006 1

 

Brescia 22 gennaio 2009

Primo indirizzo di saluto del vescovo Francesco Beschi alla Diocesi di Bergamo

Care sorelle, cari fratelli, vi saluto con semplicità e affetto. Vi saluto con discrezione e rispetto: inizio delicato e trepidante, come il sì affidato al Signore e al Santo Padre, che mi hanno chiamato e mandato a servire la vostra fede, la vostra speranza, la vostra vita. Vi saluto nel nome del Signore. La contiguità della terra bresciana a quella bergamasca non è stata motivo di scontate frequentazioni e di ovvie conoscenze: fino ad oggi ho sempre ricevuto più che dato, anche da Bergamo. Se la mia fanciullezza è stata segnata dalla meraviglia di Papa Giovanni e la giovinezza dalla passione di Papa Paolo VI, sono cresciuto, diventato prete e posto al servizio del Popolo di Dio dall’indimenticato mons.Luigi Morstabilini e dal caro mons.Bruno Foresti, padri del mio sacerdozio. Il loro ricordo, colmo di riconoscenza, mi introduce al saluto più intenso e commosso: quello al Vescovo Roberto e al suo ausiliare Lino. La cordiale amicizia dei Vescovi lombardi, della quale ho potuto godere da quando sono stato ordinato Vescovo, mi ha introdotto alla stima, alla confidenza, alla condivisione con mons.Roberto e mons. Lino. La loro benedizione mi accompagni e il mio affetto li raggiunga. Con loro desidero salutare, con fraternità sentita, tutti i vescovi bergamaschi e immediatamente tutti e ciascuno dei sacerdoti e diaconi di questa Chiesa, con i quali in un modo tutto particolare condividerò la missione evangelica. Il saluto raggiunga tutte le comunità religiose, le persone consacrate, e tutti voi laici, donne e uomini della Chiesa di Dio che è in Bergamo, a cui oggi è affidata una particolare missione nel mondo e per il mondo. Sono figlio di una grande Chiesa e il Signore mi manda a servirne una altrettanto grande: sarei incosciente se non fossi trepidante, ma sarei fuorviato se ritenessi che la grandezza consista nei numeri e nelle opere, pur provocanti a forti responsabilità, e non piuttosto nella fedeltà al Vangelo, che ammiriamo riconoscenti nella storia di chi ci ha preceduti e vogliamo con tutto noi stessi perseguire nell’oggi che il Signore ci dona di vivere. E’ una fedeltà che apre il cuore alla speranza, che illumina gli occhi per cogliere i segni dei tempi, che, pur consapevoli delle debolezze, delle contraddizioni, delle crisi e delle paure, delle sofferenze e delle prove che ci attraversano, è alimentata dalla certezza dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù, del quale siamo chiamati ad essere testimoni coraggiosi e credibili. Ancora una volta vi saluto ed abbraccio, in attesa di poterlo fare personalmente. A tutte le autorità, alle istituzioni che rappresentano, all’intera comunità bergamasca, giunga il mio pensiero di stima e vicinanza. Questi sono i giorni della preghiera: la mia per voi, la vostra per me . E mentre ringrazio il Santo Padre per la fiducia che mi ha manifestato, su tutti invoco la benedizione del Signore, con particolare ricordo per i più piccoli e i più deboli.

† Francesco Beschi, vescovo

 

sanguinetti2

GRAZIE

Mons. Giulio Sanguineti è nato a Lavagna, provincia di Genova, diocesi di Chiavari, il 20 febbraio 1932. sanguinetiHa compiuto gli studi umanistici e teologici nel Seminario diocesano di Chiavari e, successivamente, il triennio di studi giuridici presso la Pontificia Università Gregoriana, dove ha conseguito la laurea in Diritto Canonico. È stato incardinato nella diocesi di Chiavari il 27 marzo 1955 e ordinato sacerdote nella cattedrale di Chiavari il 29 maggio 1955. Dopo l'ordinazione è stato Vicerettore e Insegnante di Morale e Diritto Canonico nel Seminario diocesano, quindi Cancelliere vescovile, Penitenziere della Cattedrale e Assistente diocesano della Gioventù femminile di Azione Cattolica. Nel 1966 il Vescovo di Chiavari, mons. Maverna lo nominò dapprima Delegato Vescovile e quindi Vicario Generale, incarico che gli fu riconfermato dal successore Mons. Ferrari. Il 15 dicembre 1980 è stato eletto Vescovo di Savona e di Noli. Il 6 gennaio 1981 è stato consacrato vescovo nella basilica di S. Pietro in Vaticano da S.S. Giovanni Paolo II. Il 7 dicembre 1989 è stato trasferito alla diocesi di La Spezia - Sarzana - Brugnato. Il 19 dicembre 1998 viene trasferito da Giovanni Paolo II a Brescia. Compie il suo ingresso in diocesi il 28 febbraio 1999.

*******

stemmasanguinetti

Stemma:di rosso alla croce d'oro, il montante posto verso destra e la traversa alzata, accompagnata da una croce scorciata d'argento nel cantone a destra in alto, e nel cantone sinistro, in punta, da un calice d'oro. Il capoè d'oro all'aquila nascente di nero con le ali spiegate e coronata dello stesso. Il capo descritto si trova sempre negli scudi in alto e prende il nome di capo dell'Impero. La scelta di questo capo ricorda le scelte vescovili precedentemente affidate alla cura pastorale di mons. Giulio Sanguineti, infatti ambedue le città di Savona e La Spezia portano nel loro stemma questo capo. Il color oroè simbolo della Fede, Giustizia, Carità, Umiltà, Temperanza, Clemenza e Purezza. L'argentorappresenta la luce ed è il simbolo di concordia. Il color rosso, del campo, è il colore più nobile del blasone ed è simbolo dell'amore di Dio e del prossimo, di valore, fortezza, magnanimità. Gli spagnoli chiamano il campo rosso "sangriento" ossia sanguinoso.

La croceè la prima figura introdotta negli scudi ed è l'insegna dei cristiani e qui ricorda lo stemma di papa Giovanni Paolo II. Il calice, pur essendo una figura rara in araldica ricorda l'Eucarestia ed è simbolo dell'obbedienza, prontezza, zelo per la Fede Cattolica ed amore di Dio. Lo scudo è accollato alla croce episcopale ed è sormontato dal cappello del Vescovo di verde con un solo nodo e tre ordini di fiocchi per lato pure di verde.

Il motto: "In sanguine suo" è tratto da Apocalisse 1,5-6: "Gesù Cristo il testimone fedele, il primogenito dei morti, e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli". Mons. Antonio Massetti Zannini ( "Rivista della Diocesi", Anno LXXXIX - n.1, 1999)

 

 

 

 

Free Joomla! templates by Engine Templates